I muri, si sa, sono anche lavagne, schermi e pagine per una serie
ininterrotta di messaggi, scritte, disegni, murales, graffiti.
“Messaggi” che cambiano con le epoche e con le generazioni e che sono
oggetto di studio, di divertenti raccolte fotografiche, di riflessione.
Ma, sembra dirci Sandro Bettin con questa serie di opere di pittura e
collage, i muri non sono questi supporti inerti, arrendevoli verso
qualunque traccia vi si lasci, poetica o politica. Noi guardiamo i muri e
li usiamo (in maniera, dice Bettin- memore di altre epoche contestative
- sempre più personalistica e individualistica, un po’ come accade con
l’esibizione del privato in rete) ma i muri guardano noi. In modo
ossessivo e non con occhio ridente. Mentre noi raccontiamo a loro
struggimenti d’amore e rivendicazioni sociali, tracciamo frasi insensate
o semplicemente ci divertiamo a guardarvi le altrui testimonianze
pitturate o scritte, loro ci sorvegliano e magari ci giudicano. Forse
non gradiscono. Forse ci invidiano, fermi lì come sono da anni o da
secoli. E da queste tracce ripetute di sguardi ci sembra di capire che
soffrano, anche, di qualche allucinazione. Una tessitura di ricordi e di
echi letterari, cinematografici, figurativi che si sono depositati
nell’esperienza stessa del pittore ma che forse vengono anche da scritte
dimenticate, da ombre passeggere, da intonaci remoti e soggiacenti, da
transiti che sembravano distratti e che hanno, invece, dentro quei
muri, lasciato il segno.
Sandra Lischi
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